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Piove...guarda come piove... , Punto di vista in controcorrente rispetto le informazioni che ci vengono propinate
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NonSoloBolleDiAcqua

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Inviato il: 8/11/2011,00:28

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Riporto il pezzo scritto dal Geologo più famoso d'italia:
Mentre ancora ci si commuove di fronte alle vite annegate nel fango a Genova o in Toscana, è quasi un dovere civico domandarsi di chi è la colpa di quanto accaduto. E constatare tristemente che il momento della presa di coscienza definitivo di questo popolo è ancora molto di là da venire.
Li abbiamo sentiti gli amministratori locali ripeterci come una litania che la colpa dell’alluvione è della quantità eccezionale di pioggia caduta in pochissimo tempo. Ma è bene gridare che questo non è vero: a Genova nel 1970 i mm di pioggia caduti furono 900 contro i quasi 600 dei giorni scorsi.
E alle Cinque Terre, come lungo il Magra o il Vara, piogge di quasi uguale intensità da tempo erano diventate la regola. Tanto che addirittura il Senato della Repubblica, nel 2005, affermava che «negli ultimi 15 anni le piogge sono diventate violente e brevi, mentre prima erano prolungate e di bassa intensità. Nel1997 Aulla era già stata colpita da bombe d’acqua, così come era accaduto ancora a Genova all’inizio degli anni Novanta. E’ il clima che cambia, vero: più calore significa maggiore intensità e frequenza dei fenomeni meteorologici a carattere violento. Ma non è una novità, non più almeno da una ventina d’anni.
Ma quando piove tanto, comunque è bene guardare a terra, non in cielo, perché il problema è che quelle quantità enormi di pioggia cadono su un territorio devastato, abbandonato, abusato e divorato da costruzioni e infrastrutture di ogni tipo e genere. Anche dove non si dovrebbe. Eppure li abbiamo sentiti, quegli stessi amministratori darci spiegazioni del tipo: «Erano anni che non pioveva così tanto, non avevo mai visto piogge così». Ma la memoria degli uomnini è corta rispetto a quella della Terra e spesso non funziona nemmeno tanto bene: Genova è preda di alluvioni improvvise (flash-flood) da almeno 40 anni, il Magra e il Vara hanno sempre esondato.
Solo che i fiumi sono cambiati. E anche le città: prima eravamo di meno e i centri abitati più piccoli e limitati alle zone sempre sicure. Basta guardare Aulla, dove hanno costruito un argine nel 1959 non al limite dell’alveo, come forse si potrebbe, ma al limite dell’acqua del fiume, rendendo possibile costruire direttamente sul greto, nell’illusione che l’argine servisse a qualcosa. E il Vara ha visto ristretto il suo alveo dagli 820 metri della fine del XIX secolo ai 140 di oggi.
Ma che cosa dovrebbe fare un fiume cui è stato sottratto il suo corso, se non riprenderselo nel momento della piena? E che cosa dovrebbe succedere alle costruzioni impiantate in una zona di Genova che si chiama La Foce? La bulimia costruttiva degli italiani è il vero problema del dissesto idrogeologico nel nostro paese, più dei disbosacmenti e degli incendi: da noi ogni anno si perdono 200.000 ettari di territorio, conto i 10.000 del Regno Unito.
Da noi si permette di costruire dove non si dovrebbe e piani casa e condoni edilizi fanno il resto, sanando anche l’abusivismo pericoloso.
Ma i nostri amministratori, e spesso anche i cittadini, hanno dato la colpa a tutto, fuorché alla loro scarsa capacità di pianificare il territorio. Stretti alla gola dalla crisi economica hanno continuato a far soldi concedendo licenze edilizie dovunque e sanando gli abusi, non hanno demolito e hanno costruito opere inutili non destinando nemmeno un euro alla manutenzione del territorio. Bisoga dirlo chiaro: alle Cinque Terre si viveva solo grazie a un patto con la natura che consisteva nel lavorare con fatica e senza sosta un territorio in linea di principio inospitale per gli uomini.
Il turismo di massa ha concesso benessere, però ha favorito l’abbandono delle campagne e i risultati si vedono. Nessuno può vivere impunemente in condizioni di pericolo, come anche a Genova, dove i suoi cinque corsi d’acqua sono stati tombati da decenni e ora esplodono come è naturale che sia, altro che messa in sicurezza. Non è un problema ingegneristico o idraulico, è un problema culturale. E non è solo un problema di risorse: è vero che nella finanziaria 2012 spariscono i 500 milioni destinati alla difesa del suolo, ma è anche vero che si favoriscono da troppo tempo situazioni di pericolo. Infine ci si è spinti anche a dare la colpa agli ambientalisti, colpevoli di impedire la pulizia dei fiumi. Qui siamo alla follia: tronchi morti e detriti, o rottami debbono essere rimossi dagli alvei e anche gli ambientalisti sono d’accordo. Ma è paradossale che quei sindaci, con il fango alla vita e i morti e i dispersi nel proprio territorio, sommersi dalle auto accatastate, sentano di dare la colpa a chi davvero non c’entra niente e non si assumano mai, dico mai, nemmeno un ombra di responsabilità.
In Italia muoiono, per frana o alluvione, sette persone al mese e ogni tre quarti d’ora il terreno smotta in tutta la penisola, visto che quasi la metà del territorio è a rischio idrogeologico.
Liguria, la Toscana, la Campania, la Calabria, la Sicilia, il Piemonte, il Veneto sono le regioni con maggiore rischio e poco possiamo fare nel breve termine, se non salvare le vite attraverso una migliore interfaccia fra Protezione civile e amministratori-cittadini. A patto che non si sottovalutino gli allarme e si sopportino quelli falsi. Si può suggerire di spostarsi ai piani alti e di abbandonare le auto, meglio dopo averle spostate magari nei giorni precedenti, in zone sicure. Si possono ripulire i rifiuti (solo quelli, non la ghiaia o gli alberi vivi) dal greto. Ma sul lungo termine è ora ormai di ripensare il rapporto fra cittadino e natura: bisognerà imporre limitate opere di intervento naturalistico dove serve, ma si dovrà delocalizzare parte della popolazione a rischio idrogeologico, e pensare a una nuova pianificazione che sia più equilibrata e armonica. Perché non si può più morire nel fango all’inizio del terzo millennio, tanto meno in un paese che ha ambizioni da sesta potenza mondiale.
* Mario Tozzi, geologo è primo ricercarore Cnr-Igag



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